A marzo 2019, con il lockdown imposto dal governo per fronteggiare l’emergenza Covid-19, fu necessario pensare e mettere in atto nuovi modi di lavorare che consentissero il distanziamento sociale. Da allora si sente molto parlare di smartworking.
In realtà lo smartworking è una modalità di lavoro precedente alla pandemia. Ma cos’è davvero lo smartworking? Quali implicazioni psicologiche ha per il lavoratore e per l'azienda? Cosa significa smart?
SMARTWORKING O TELELAVORO?
Innanzitutto è doverosa una precisazione.
Esiste una differenza sostanziale tra smartworking e telelavoro.
Lo SMARTWORKING è regolamentato da una legge del 2017 (legge n°81/2017) secondo la quale “la prestazione lavorativa viene eseguita in parte all'interno dei locali aziendali e in parte all'esterno senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con lo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.”
Il TELELAVORO è anch’esso regolamentato da una legge, ma precedente, secondo la quale «Il telelavoro costituisce una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell' informazione nell'ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l'attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell'impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa» (D.P.R. n. 70/1999, art. 2, c. 1, lett. b); Accordo 9/6/2004, art. 1, c. 1)
Ne consegue che ciò che molte aziende hanno inserito non è smartworking ma telelavoro. Questo ha portato più ad una modalità di lavoro che resiste all’interno di un cambiamento improvviso. Resistere ai cambiamenti comporta elevati livelli di stress che possono sfociare in problemi psicologici importanti. Non a caso sono aumentati drasticamente i casi di depressione tra i lavoratori (ma non solo).
Lo smartworking, contrariamente al telelavoro, non resiste al cambiamento che il contesto ci presenta ma cerca una forma di adattamento ad inevitabili cambiamenti che già erano in atto prima della pandemia.
DIVENTARE SMARTWORKER: L’IMPORTANZA DELLE SOFT SKILLS
Lo smartworking è conosciuto anche come lavoro agile.
La capacità di lavorare in modo agile richiede una rappresentazione sociale del lavoro diversa da quella che abbiamo avuto fino ad ora. E’ un vero e proprio passaggio culturale.
Il lavoro agile è una modalità di lavoro “intelligente”, capace di fare più cose del passato in modo S.M.A.R.T. (Specifico, Misurabile, Accettabile/raggiungibile, Realista, Tempificabile).
Uno smartworker deve essere in grado di raggiungere obiettivi nella modalità S.M.A.R.T e per questo deve possedere delle specifiche SOFT SKILLS (competenze trasversali) oltre alle competenze tecniche richieste dal lavoro specifico.
Tra le soft skills di uno smart worker troviamo sicuramente ORGANIZZAZIONE E GESTIONE DEL TEMPO E CAPACITA’ DI LAVORO IN TEAM VIRTUALE. Ne consegue che il vero smartworker tende ad essere una persona “brillante” che poi l’azienda deve essere in grado di gestire e “curare” come risorsa.
IN CONCLUSIONE
A) AZIENDA: innanzi tutto l’azienda dovrebbe aver chiaro ciò che vuole/serve. Telelavoro o smartworking. Il telelavoro mantiene un buon controllo sul lavoratore mentre lo smartworking permette molta più autonomia al lavoratore e quindi l’azienda deve essere disposta a cedere il controllo al lavoratore stesso che in autonomia perseguirà i suoi obettivi.
B) LAVORATORE: il lavoratore che si trova a dover gestire il telelavoro o lo smartworking possiede competenze diverse. Lo smartworker deve possedere SOFT SKILLS specifiche senza le quali il lavoro agile non è possibile. Tali competenze possono essere in parte apprese e sicuramente migliorate attraverso percorsi di autoconsapevolezza e di crescita personale.
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